La ricerca dell’equilibrio finanziario nel sistema retributivo o nel sistema contributivo

settembre 17, 2013  |   Blog   |   Commenti disabilitati su La ricerca dell’equilibrio finanziario nel sistema retributivo o nel sistema contributivo

Di Emanuele Spata

La vita è come andare in bicicletta. Per mantenere l’equilibrio devi muoverti.

Albert Einstein, Lettera al figlio Eduard – 1930

I problemi attinenti la previdenza, in generale e per quel che riguarda la nostra professione, sembrano potersi riassumere in una scelta da doversi fare nel breve periodo, ricorrere, alla ricerca dell’equilibrio finanziario, al SISTEMA RETRIBUTIVO o al SISTEMA CONTRIBUTIVO?
La questione risulta essere di grande attualità, in campo previdenziale, per due ordini di ragioni:
•    il clamore che ha suscitato l’intervento del governo in materia di prestazioni erogate dal fondo obbligatorio nazionale (INPS) e la acquisita consapevolezza da parte dei più che per l’erogazione delle pensioni possono esistere molteplici metodologie di calcolo non necessariamente basate sul numero di anni durante i quali sono stati effettuati i versamenti dei contributi e la quantità stessa dei contributi versati, ma che l’entità della prestazione erogata può dipendere anche dalla metodologia di calcolo di quest’ultima: con il sistema contributivo od il sistema retributivo, tale consapevolezza è stata raggiunta forse per la prima volta grazie al ministro del welfare Fornero la quale ha dato un approccio pratico e pragmatico al problema essendone profondo conoscitore
•    la seconda consiste nel fatto che veniamo, noi avvocati, da una recente riforma del nostro sistema previdenziale che è costato alla classe forense lacrime e sangue, in un periodo di crisi profonda come quello attuale per l’avvocatura e non addebitabile unicamente alla crisi generale dei mercati, ma ad una più vasta crisi della professione. È recente infatti: –    l’innalzamento della percentuale da calcolarsi sul reddito annuo prodotto ai fini professionali, con il limite massimo di € 86.700,00 (ora 90.0000) al 13% ( ora al 14%) il mantenimento di un contributo di solidarietà nella misura del 3% per i redditi eccedenti,
–    l’aumento dal 2 al 4% del contributo, c.d. integrativo, da calcolarsi sull’intero fatturato ai fini professionali per tutti gli avvocati ed i praticanti iscritti agli albi e ai registri, indipendentemente dalla loro posizione di beneficiari di prestazioni previdenziali da parte della Cassa, con un contributo minimo di 650,00 € a decorrere dal 2011, a cui non sono chiamati i pensionati ed i praticanti i quali corrispondono il contributo per il solo effettivo importo di fatturato ai fini professionali e dal quale sono esentati chi si iscrive agli albi per i primi cinque anni
– la determinazione del contributo minimo soggettivo (quello da calcolarsi sul reddito per intendersi) , a partire dal 2011 per l’importo € 2.400,00, – l’innalzamento del contributo di solidarietà per quegli avvocati che pur godendo della pensione di vecchiaia continuino nell’esercizio della professione forense sono tenuti a pagare sul reddito imponibile professionale fino al tetto di 86.700,00 (ora 90.000,00) una percentuale del 5% (ora 7%) che prima era del 3% rimanendo inalterato il contributo di solidarietà per il reddito eccedente il tetto. I pensionati sono esentati dal pagamento del contributo minimo
– con la recente riforma è stato introdotto il contributo soggettivo modulare che risulta essere obbligatorio nella misura del 1% del reddito professionale fino al tetto sopra indicato. Appena usciti da questa riforma ci siamo trovati a dover fare i conti nuovamente con ulteriori necessari interventi per mantenere l’equilibrio dei conti. Ed in effetti con D.L. 201/2011 lo Stato ha imposto alle Casse di previdenza Private un previsione di stabilità dei conti basata sulla valutazione di entrate e uscite a 50 anni. In sostanza Io Stato chiede che i bilanci delle casse risultino in pareggio tra entrate ed uscite per i prossimi 50 anni. Ora capirete che in realtà questa attestazione di stabilità altro non sia che una fictio iuris nel senso proprio che al termine si possa dare “fictio iuris naturam imitatur quantum potest” (La presunzione imita la natura, per quanto possa). La possibilità di “imitazione” o meglio di previsione è fornita dal fatto che gli stessi attuariali, che si occupano di queste proiezioni, sono inclini ad ammettere che le loro previsioni hanno fondamento entro i tre anni, figuriamoci con prospettive di mezzo secolo. La debolezza delle previsioni attuariali sta nel fatto che si debbono ritenere come acquisiti i dati di partenza senza i quali la previsione non è possibile e quindi si debbono ritenere come acquisiti, nel nostro caso, il numero degli iscritti ed il gettito derivante, come abbiamo visto sopra, da fatturato e reddito della classe forense. Ora gli attuariali hanno previsto un trend di crescita del numero degli avvocati fino al 2016 per poi assestarsi senza modifiche fino al 2060 ed altrettanto hanno fatto con il reddito. Un tale previsione se può essere utile al fine di poter sostenere l’equilibrio dei conti non appare essere assolutamente coerente con la realtà che ci si prospetta. Per quel che concerne i redditi degli avvocati, ad esempio, è ormai acquisita una loro contrazione in termini reali (nell’ultimo periodo è stata valutata nel 6% la contrazione dei redditi medi dei professionisti) ed anche per quel che concerne il numero degli iscritti alla cassa non v’è dubbio essere in atto una (auspicabile per altri versi) inversione di tendenza in ordine al numero di iscritti agli albi professionali degli avvocati. Un altro elemento tutt’altro che neutro che deve essere preso in considerazione sono poi le recenti e possibili future decisioni che lo stato potesse assumere in ordine all’organizzazione degli studi professionali e la legge che li disciplina. Ci riferiamo, per esempio, alla recente introduzione, se pur non ancora applicabile per mancanza di regolamento, della previsione delle società di capitali come strumento per l’esercizio dell’attività. È chiaro a tutti che una separazione del reddito derivante dalla attività professionale rispetto a quello che verrà considerato riconducibile alla remunerazione di capitale (dividendi) comporterà inevitabilmente un impoverimento delle entrate della Cassa di Previdenza. È in ciò che sta la debolezza del sistema retributivo. Deve infatti chiarirsi che il sistema retributivo non trova l’equilibrio di bilancio nell’immediato nel rapporto entrate ed uscite con riferimento al singolo iscritto, ma in realtà si basa su di un sistema di solidarietà sociale per cui l’equilibrio lo si deve ritrovare all’interno e nell’intero sistema.
Un altro peccato originale che si porta dietro la nostra cassa va individuato nel fatto che il sistema di solidarietà sociale è fondato non solo sul legittimo principio di solidarietà di gruppo, ovvero la ripartizione del rischio tra tutte quelle persone che appartengono ad una stessa categoria (per farvi un esempio, l’avvocato più ricco verserà oltre a quanto necessario per costituire la riserva matematica necessaria per la costituzione della sua rendita (pensione) un contributo di solidarietà per garantire anche ai soggetti più deboli della categoria di avere prestazioni previdenziali pur non coperte dai loro versamenti), ma anche ad una forzosa solidarietà infragenerazionale. Ed in effetti i calcoli che sono stati fatti fino a tempi a noi recenti di corrispondere le prestazioni previdenziali avendo riguardo ai migliori 10 anni tra gli ultimi quindici ha consentito da un lato ai colleghi più anziani di beneficiare delle prestazioni massime previste corrispondendo il massimo della contribuzione per soli 10 anni e per i precedenti, teoricamente senza corrispondere nulla, ( fino al 1981 esisteva solo il versamento di 250.000 lire ed il pagamento della marca Cicerone per la iscrizione delle cause e, per molti anni a seguire, le dichiarazioni dei redditi degli avvocati furono alquanto discutibili) e dall’altro non ha consentito l’applicazione del criterio della solidarietà di gruppo, non essendovi eccedenze sui versamenti, ponendo così sulle spalle delle generazioni future gli oneri per il pagamento delle loro prestazioni previdenziali. In sostanza le pensioni non sono state pagate con la riserva matematica che il singolo iscritto ha provveduto a costituirsi ma con i contributi che, chi ancora in attività, ha versato e continuerà a versare. In questo modo naturalmente si continuerà a riversare sugli iscritti futuri il peso della previdenza. Questo è però un sistema destinato ad implodere. Quando l’implosione avverrà non è dato sapere, ma che si tratti di un termine e non di una condizione è certo “dies certus an incertus quando” Ed in effetti l’equilibrio si spezzerà nel momento in cui il numero degli iscritti attivi alla cassa non riuscirà più a coprire i costi degli iscritti passivi (pensionati) e si badi se oggi il rapporto è di un pensionato che beneficia delle provvidenze a fronte di cinque avvocati ancora in attività il trend è già in caduta libera e avrà il suo picco quando gli iscritti degli anni 90 (boom di iscrizioni) avranno maturato i requisiti per il loro pensionamento. Apparirà chiaro a tutti quindi che deve ritenersi un mero esercizio teorico disquisire in ordine al fatto se nella valutazione dell’equilibrio di cassa a cinquant’anni si debba tenere conto o meno del patrimonio della Cassa e soprattutto del reddito che dallo stesso patrimonio perviene. Probabilmente tale dato rimarrebbe l’unico non sottoposto a variabili incontrollabili (leggi sui canoni permettendo per la parte immobiliare che potrebbero incidere sulla redditività e leggi del tipo di quelle che hanno visto gli enti pubblici di previdenza e assistenza coinvolti per la cessione dei loro immobili, la c.d. cartolarizzazione, che potrebbero addirittura incidere sul valore patrimoniale dei cespiti) ma che non assolverebbe la Cassa dal rischio di tutte quelle variabili che abbiamo elencato e che sono fuori di ogni controllo del pur più accorto attuariale.
Dopo aver fatto queste valutazioni è importante fornire a chi vuole occuparsi finalmente della propria previdenza alcune avvertenze per non lasciarlo in balia dei canti delle Sirene. Dovremo infatti abituarci a non farci forviare da chi sostiene e sosterrà che con il sistema retributivo l’ammontare delle prestazioni erogate è maggiore rispetto a quanto risulterebbe dall’applicazione del sistema contributivo. Si deve ammettere che in astratto tale asserzione potrebbe corrisponde al vero ma dall’altro si deve sottolineare che tale constatazione, non avendo alcuna motivazione prodigiosa, ricondotta alla realtà altro non sia che il motivo del dissesto nel tempo della cassa di previdenza. Dobbiamo innanzitutto prendere atto che la nostra cassa di previdenza è un sistema chiuso: non esiste un signor Pantalone che provveda a ripianare eventuali disavanzi della cassa rimettendola in equilibrio, l’equilibrio, la Cassa, lo deve trovare nel bilanciamento dei conti nel lungo periodo tra entrate ed uscite, senza peraltro ricorrere ad alcuna “fictio iuris” ma con mere argomentazioni aritmetiche. I conti debbono, in buona sostanza, ritornare qualsiasi sia il reddito medio pro capite del singolo avvocato e qualsiasi sia il numero degli avvocati iscritti alla cassa, solo così il sistema potrà ritenersi equilibrato rispetto a qualsiasi insidia potesse essere dietro l’angolo.
Apparirà chiaro a tutti poi che è un non senso parlare di sistema retributivo o sistema contributivo, in realtà da questi due sistemi puri ci possono essere tali e tanti scostamenti al punto da rendere l’uno assai simile all’altro facendo così diventare la discussione che si dovesse accentrare solo sul fatto che sia migliore l’uno piuttosto che l’altro una mera dissertazione ideologica. Ed in effetti di sistema contributivo puro si dovrebbe parlare solo con riferimento all’ultimo reddito percepito dall’assicurato, e, nell’ottica del mantenimento delle sue capacità reddituali durante la quiescenza, che aveva durante il periodo lavorativo, determinarsi su quest’ultimo dato l’erogazione della prestazione. È evidente che se invece si tarerà l’erogazione della prestazione non sull’ultimo reddito dichiarato ma sulla media dei redditi dell’intera vita lavorativa del soggetto e che se i contriburetributivo e sistema contributivo di fatto scomparirà.
Il sistema teorico per mantenere l’equilibrio dei conti della Cassa indipendentemente da ogni variabile di reddito e di numero degli iscritti è il sistema contributivo che partendo dal presupposto che le pensioni vengono calcolate sulla riserva matematica che il singolo iscritto ha versato, tenendo conto della vita media del soggetto e quindi del numero degli anni per cui la prestazione andrà erogata consente non solo un rapido conto ma anche un conteggio degli oneri per la sua sostenibilità agevole e senza tema di errori.
I problemi che sorgono da questo meccanismo di calcolo sono diversi. Il primo è che la nostra Cassa ha, per così dire, una sua storicità, non nasce oggi e si trascina dietro non solo l’obbligo di corrispondere a chi è già in quiescenza e non ha accumulato quella riserva matematica per consentirgli di poter godere delle prestazioni che riceve, ma anche l’obbligo giuridico di riconoscere determinate prestazioni a coloro i quali abbiano maturato tale diritto per effetto di normative previgenti (il c.d. pro rata). È evidente che a tale esborsi certo non si può provvedere con i contributi raccolti e destinati alla soddisfazione delle prestazioni calcolate con il sistema contributivo a meno di non impoverire eccessivamente le prestazioni da erogare che a questo punto sarebbero del tutto insoddisfacenti o a meno di non agire sull’ammontare della percentuale dei contributi da pretendere in modo tale che li renderebbe non più competitivi rispetto a quelli previsti dal sistema generale di previdenza (INPS). Ora se si vuole ricorrere al sistema contributivo in modo da assestare, per il futuro, le erogazione sulla base delle contribuzioni versate, non si può certo abbandonare il principio della solidarietà sociale, alcune considerazioni non eludibili non lo consentirebbero. È infatti necessario provvedersi, come riferito sopra, a continuare nelle erogazioni delle prestazioni di cui sia già maturato il diritto indipendentemente dall’esistenza o meno di una riserva che possa coprirne i costi, per ormai consolidata giurisprudenza è necessario salvaguardare il pro rata per quei colleghi che abbiano maturato dei diritti in forza di previgenti sistemi di calcolo, ma soprattutto bisogna provvedersi a mantenere in essere quel sistema di solidarietà di gruppo senza il quale nessun sistema previdenziale ha ragione di esistere, mi riferisco alla necessità che i colleghi più fortunati provvedano ad integrare la previdenza dei colleghi meno fortunati. Tutto questo naturalmente parte dal presupposto presente in qualsiasi sistema previdenziale dell’esistenza di un limite massimo di reddito su cui calcolare i contributi previdenziali. In tale contesto non è possibile prevedere l’abolizione del pagamento del contributo di solidarietà per i redditi eccedenti i 90.000,00 euro, o quello a carico di chi già beneficia della previdenza e continua a lavorare o del contributo integrativo, quelle risorse che per alcuni versi sono enormi serviranno a coprire l’integrazione al minimo, le pensioni di reversibilità, quel minimo di assistenza che la nostra cassa eroga e così via.
In conclusione con il passaggio al sistema contributivo, diciamo così corretto, pur mantenendo in essere il principio di solidarietà sociale si saranno poste in essere le basi anche per una solidarietà infra generazionale invertita che veda i padri, finalmente, preoccupati dell’avvenire dei propri figli, e non che il futuro dei figli venga ipotecato per consentire ai padri di affrontare la quotidianità. Siamo peraltro di fronte alla necessità di un cambio di mentalità, siamo di fronte alla necessità di renderci conto che non esiste una entità esterna che possa intervenire per ripianare quello che oggi noi spendiamo, accanto all’orgoglio di poter gestire la nostra previdenza e quindi di voler mantenere privatizzata la nostra cassa di previdenza, dobbiamo prendere atto che questa scelta ha come contraltare la necessità che solo noi possiamo essere gli artefici del nostro futuro previdenziale. Da ultimo e non per ordine di importanza un breve accenno deve essere effettuato anche in ordine alla questione relativa alla fiscalità generale. Appare evidente infatti che debba essere fatta una riflessione sulla doppia imposizione delle prestazioni previdenziali in quanto tale prelievo ricade inevitabilmente sulla congruità della prestazione stessa. Tale prelievo se da un lato determina certamente un vantaggio sulla fiscalità generale non si traduce, per effetto della caratteristica di sistema chiuso della nostra previdenza, in alcuna contropartita per i sistemi previdenziale dei liberi professionisti.
I sistemi di tassazione che possono trovare applicazione nei sistemi previdenziali sono i seguenti:

  • 1. Il modello EET (esente-esentetassato): i contributi e i rendimenti sono esenti nel periodo di accumulazione, ma tassati nel momento dell’erogazione della prestazione;
  • 2. Il modello ETT (esente-tassatotassato): la tassazione dei contributi avviene nel momento dell’erogazione della prestazione, similmente al modello precedente, mentre l’imposizione dei rendimenti si ha nella fase di accumulò;
  • 3. Il modello TTE (tassato-tassato-esente): tassa i contributi e i rendimenti nel momento dell’accumulazione, concedendo l’esenzione delle prestazioni.

Sarebbe opportuna anche la riflessione sulla previdenza del professionista dipendente (cd. avvocato sans-papier) che secondo i dati forniti dalla Cassa investono oramai un numero di colleghi tutt’altro che trascurabile, percettori peraltro di redditi modesti che non consentono loro di effettuare la costituzione di quella riserva matematica che gli garantisca l’erogazione di prestazioni tali da conservare loro quel pur modesto reddito a cui hanno avuto accesso durante la vita lavorativa e che non viene compensato da altro tipo di accumulo di capitale. Un primo effetto di tale realtà è stato affrontato con l’introduzione del minimo contributivo in misura superiore ad E 3.000,00 che per la generazione 1000 euro significa aver parificato la contribuzione della Cassa a quella dell’INPS (superiore al 30%), ma che, noi riteniamo debba essere affrontato, spostando il relativo costo su chi di fatto esercita nei confronti dei colleghi quello che nel diritto del lavoro viene definito eterodirezione che da luogo al vincolo della subordinazione.
In sostanza vedo nel futuro della previdenza degli avvocati un equilibrio dei conti dettato dalla determinazione delle prestazioni in funzione dei contributi versati, la conferma di un sistema di solidarietà di gruppo che veda impegnati i colleghi più fortunati a contribuire alla previdenza di quelli meno fortunati, l’accollo dei costi previdenziali dei colleghi che lavorano di fatto alle dipendenze di un collega in capo a quest’ultimo fatto salvo naturalmente il principio della iscrizione alla Cassa di Previdenza Forense dei colleghi eterodiretti, l’eliminazione di qualsiasi doppia imposizione fiscale in tema di previdenza.

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